Intervista a Lorenzo Tonda
Lorenzo Tonda è un giovane artista italiano specializzato in dipinti, murales, grafica 3D e opere scultoree. Insieme all'artista Federico Niccolai ha realizzato un nuovo murale di street art nei Giardini Samb Modou e Diop Mor, nel quartiere di San Jacopino a Firenze. L'opera affronta il tema dell'integrazione comunitaria e mostra un banchetto all'aperto.
Instagram: @tondalorenzo
Come è arrivato alla sua attuale professione?
Ho studiato pittura e affresco all’Accademia di Belle Arti di Firenze, e partecipato ai numerosi progetti di arte pubblica promossi dal prof. Vinciguerra. In seguito, mi sono interessato al vasto mondo delle grafiche 3D, intuendone i vantaggi progettuali funzionali al lavoro di muralista. Ho avuto modo di approfondire le possibilità creative della pittura classica in rapporto con le nuove tecnologie 3D a Roma, collaborando con l’artista Nicola Verlato. Nel 2017 ho dipinto un murale a Trencin, in Slovacchia, per il museo d’arte cittadino, ma è con il Murale di San Jacopino che considero iniziata la mia carriera di muralista.
Come si svolge la preparazione di un progetto? Quanto tempo dura in media un progetto?
Dipende sempre dalle specifiche esigenze del luogo e della parete. Posso dire che, per come lavoro io, la parte progettuale prende tanto tempo quanto quella esecutiva. L’opera finale è il concerto tra questi due momenti d’importanza equivalente: il primo si svolge all’interno dello studio, luogo sicuro in cui sperimentare; mentre il secondo direttamente sulla parete, con l’allestimento di un cantiere e le idee ben chiare in testa. Nel caso specifico del Murale di San Jacopino, tutto il dipinto è stato prima costruito in 3D attraverso l’utilizzo di molteplici software per la modellazione e progettazione grafica tridimensionale, compreso uno scanner 3D, organizzando fin nei minimi particolari la composizione di figure, le luci e l’architettura generale in funzione del punto di vista umano sulla parete del giardino. Solamente una volta definito il progetto, compreso di bozzetto esecutivo 1:1 di ogni particolare, inizia la fase esecutiva. Questa fase inizia con la preparazione della parete, molto spesso un’intonacatura generale, sulla quale viene riportato il disegno tramite la battitura dei cartoni ed in seguito dipinta. Il tempo necessario per portare a termine correttamente ogni fase dipende dalla dimensione del lavoro, ma ancor più dalla complessità del soggetto rappresentato. Nel caso di San Jacopino, con una dimensione di circa 50 mq. che ospita un grande colonnato ad archi e 35 figure, l’esecuzione ha coperto quattro mesi di tempo, da agosto a novembre, mentre per la progettazione è stato stimato un analogo tempo di lavoro.
Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano?
Ogni singola fase di lavoro pone le sue sfide specifiche: l’intonacatura porta via molta energia fisica, ed è forse la fase più delicata per la futura permanenza del dipinto, dato che si parla del supporto fisico dove il dipinto si ‘aggrappa’; la fase di trasferimento dei cartoni sembrerebbe la più meccanica e rilassante, ma in realtà anch’essa richiede un livello di concentrazione molto alto, perché nella sola linea che contorna le forme si deve ritrovare tutta l’informazione necessaria per simulare la natura volumetrica dei soggetti; dipingere è senza dubbio la fase più stressante, ma anche la più divertente: è là che si gioca tutto. Per quanto concerne la fase progettuale, vero nucleo generativo dell’opera, è proprio in questo momento che si liberano le idee e la creatività viene incanalata razionalmente. In questa fase la difficoltà sta nel cercare di generare l’immagine più funzionale per la specifica parete, tenendo conto del suo essere architettura nello spazio e perciò ‘presenza’: l’espressività del mio lavoro è sempre volta al potenziamento dell’idea del genius loci, manifestazione dell’anima del luogo, che va rispettata e, per mezzo dell’arte, ammirata e glorificata.
Qual è stato finora il suo progetto più grande e/o più bello?
Senza dubbio il Murale di San Jacopino, nel quale ho potuto mettere a frutto i risultati di circa dieci anni di studio in ambito artistico.
Qual è stata la sfida in assoluto più grande? Ci sono momenti in cui a volte desideri avere un lavoro diverso?
La sfida più grande è trovare le occasioni giuste dove poter dare massimo sfogo alle possibilità creative della pittura, non è semplice oggi trovare una committenza illuminata che cerchi qualcosa di unico, che si ponga nell’ottica di uno scambio proficuo e dialettico con l’artista, e che allo stesso tempo lasci ragionevole libertà di sperimentazione: sono tutte precondizioni, queste, che concorrono alla creazione di opere uniche per i luoghi che le ospitano e per le persone che le vivono. Creare una sinergia con la committenza è fondamentale. Nonostante le difficoltà, non ho mai tentennamenti: desidero solo fare grandi progetti d’arte per tanti luoghi, che impegnino grandi sforzi e soluzioni monumentali.
Qual è la sensazione che si prova quando un'opera d'arte viene completata?
Si viene a creare quel vuoto che la rottura di una qualsiasi routine provoca, se poi in queste azioni ripetute per lungo periodo riversi tutto te stesso, senza pause, rischi un down emotivo forte che ti impone di ripartire immediatamente, di solito aumentando le ambizioni. A onor del vero, devo ammettere che non c’è sensazione più bella che sapere di aver dato vita a qualcosa d’importante per un luogo, una cultura o una comunità, e di aver affermato un inciso che, con la sua presenza, può contribuire a scuotere e cambiare materialmente le cose.
Come sarebbe un progetto dei suoi sogni se potessi desiderarlo?
Domanda difficile. Credo che un parco tematico sarebbe una bellissima prospettiva lavorativa, in cui scultura e pittura siano finalizzati alla creazione di una realtà idealizzata che totalizzi lo spazio. Quando penso ad un corrispettivo nella storia dell’arte mi viene in mente il parco Vigeland a Oslo, che ancora non ho avuto l’occasione di vedere.
Cosa le piace di più del suo lavoro?
Il fatto di poter affrontare grandi sfide tecniche per tentare di risolvere alcuni dei più rilevanti problemi umani, tra cui su tutti cercare di rendere i luoghi nei quali viviamo non solo degni di essere vissuti ma anche stimolanti per le nostre menti e i nostri occhi.
Cosa la spinge a scegliere i nostri colori?
I colori Keim offrono una valida alternativa alla tecnica dell’affresco nel caso in cui questi non si possa utilizzare. La stesura a secco facilita enormemente l’esecuzione di un dipinto murale, ma la forza del legame minerale siliceo con l’intonaco sottostante garantisce un’impareggiabile stabilità e solidità alla pittura. Anche a livello estetico, i colori Keim rivelano dei vantaggi in quanto nella fase di asciugatura producono il classico sbiancamento minerale, che rende le tonalità del dipinto più morbide, perfette per un contesto di arte urbana in cui colori eccessivamente accessi rischiano di stonare con le cromie proprie della natura. In un contesto come quello di un giardino, la delicata brillantezza delle terre, dei blu e rossi che non saturano la parete si rivelano un fattore decisivo per l’armonizzazione dell’opera col tutto che la circonda.
Qual è il suo prodotto KEIM preferito?
Per adesso ho lavorato solamente con la linea KEIM Soldalit, ma mi piacerebbe provare la linea KEIM Design-Lasur per la possibilità di ottenere velature più trasparenti.